La mia lettura del Vangelo non poteva che essere la lettura di un marxista, ma contemporaneamente serpeggiava in me il fascino dell’irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo. Io come marxista non posso spiegarlo e non può spiegarlo nemmeno il marxismo. Fino a un certo limite della coscienza, anzi in tutta coscienza, è un’opera marxista: non potevo girare delle scene senza che ci fosse un momento di sincerità, intesa come attualità. Infatti, i soldati di Erode come potevo farli? Potevo farli con i baffoni, i denti digrignanti, vestiti di stracci, come i cori dell’opera? No, non li potevo fare così. Li ho vestiti un po’ da fascisti e li ho immaginati come delle squadracce fasciste o come i fascisti che uccidevano i bambini slavi buttandoli in aria.
(Pier Paolo Pasolini)
LA SCENEGGIATURA
Il copione del Vangelo è lo spazio nel quale avviene l’incontro tra Pasolini e i cattolici progressisti. Il regista è consapevole, e lo è anche il produttore Bini, che senza il visto della censura, il progetto avrebbe avuto scarse possibilità di successo; a maggior ragione dopo l’esperienza de La ricotta, ritirato dalle sale con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”. Ma chi aiutò il cineasta a trovare quei compromessi, realizzati i quali, fu possibile concludere il film?
All’Archivio Pasolini, presso l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto di Vieusseux di Firenze, è depositato l’esemplare, datato 8 maggio 1963, nel quale don Andrea Carraro, biblista della PCC, chiosa le correzioni che il regista deve apportare al copione. Sulla base di ciò, Walter Siti e Franco Zabagli, curatori de “I Meridiani” (2001) Pier Paolo Pasolini, Per il cinema, hanno concluso che don Andrea Carraro fosse l’unico soggetto intervenuto sulla sceneggiatura. La scoperta di un nuovo esemplare all’interno del Fondo Caruso, anch’esso al Vieusseux di Firenze, dimostra invece che le consulenze sulla correttezza filologica dei dialoghi del Vangelo sono un lavoro d’equipe, e che probabilmente, altri biblisti esterni alla Cittadella, come i gesuiti del Centro San Fedele di Milano, e i docenti della Gregoriana, hanno contribuito alla riuscita dell’opera. In estrema sintesi, il copione all’Archivio Pasolini è l’esemplare nel quale sono confluite tutte le correzioni, di tutti gli interventi, glossate per intero dalla mano di don Andrea Carraro.
Anche in questa circostanza, non è possibile ricostruire integralmente il procedimento che ha portato al compromesso definitivo, visibile e udibile in forma di dialoghi, nella pellicola. Il maggiore sforzo è probabilmente rappresentato dall’estremo realismo con cui il poeta friulano ha immaginato il Vangelo: nella sceneggiatura originale Pasolini inserisce, per esempio, scene in cui il bambino Gesù si nutre al seno della giovane Maria; eventualità che i consulenti religiosi smorzano per evitare la suscettibilità dello spettatore di fronte ad un gesto certamente “vero”, ma che si svolge in privato. Un altro esempio, potrebbe essere rappresentato dalla visione della povertà con cui il cineasta immagina la sacra famiglia: nel frangente, l’intervento dei biblisti, verte a spegnere il suggestivo paragone tra il sottoproletariato del Sud Italia e la ricostruzione storica degli avvenimenti; dunque, nessuna valenza ideologica, e decoro negli allestimenti. Del resto, nella formulazione ideata da Pasolini, ci sono parecchi riferimenti all’attualità, come riprese di profughi di altri paesi, oppure la faccia di Nasser, ex presidente dell’Egitto, in luogo di quella Erode, ma, dalla Cittadella di Assisi, giungono suggerimenti che temperano lo slancio modernista del cineasta.
LA MUSICA
Per quanto concerne l’allestimento musicale non si conoscono interventi esterni, perciò, Pasolini, è libero di seguire delle intuizioni poetiche di grande impatto sonoro. La dialettica per opposti, cifra stilistica che connota da sempre l’autore, lo guida nelle scelte dei temi da inserire nel film, con un risultato finale sorprendente. Il Vangelo si apre con Gloria della “Missa Luba Congolese” (messa latina cantata negli stili tradizionali della Repubblica Democratica del Congo), e il coro finale della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach. Il procedimento dialettico è spiazzante, perché la vitalità della musica popolare africana, espressione di una liturgia ludica, terrena, libera da strutture tradizionali, si alterna alle note del compositore tedesco, la cui morfologia punta al divino, al sublime. L’accostamento ha il proposito di ricordarci la natura umana di Cristo (Missa Luba Congolese), e quella celeste e trascendentale (Bach), in quanto figlio di Dio.
Il motivo “profetico” tratto dalla Passione secondo Matteo è utilizzato come contraltare sonoro nella sequenza in cui un sacerdote espone ad Erode la profezia di Michea, che annuncia la nascita “sacra” in Betlemme. L’amministratore della Galilea viene rappresentato con un volto privo di spiritualità, fattezze gaudenti figlie di privilegi acquisiti; Pasolini gli accosta il motivo “profetico”, contrappone il sublime allo sfregio di chi è infastidito dall’eventualità di perdere poteri terreni.
All’opposto, l’incontro dei Magi con Gesù, è strutturato secondo dettami tipici del cinema pasoliniano: la sequenza mette in scena l’umiltà dei volti e dei luoghi, e, l’assenza di dialoghi, concede a Sometimes I Feel like a Motherless Child, interpretata da Odetta (nota anche per l’impegno in favore dei diritti civili dei “fratelli e sorelle neri”) insieme ad un coro Gospel /Spiritual, di entrare in contatto con il sacro, tema fondamentale dell’intera poetica dell’autore.
La comparsa di Mozart, Prokof’ev, e i già citati, si assumono dunque l’onere di rendere plausibile l’ineffabile, l’irruzione del sacro nel mondo degli uomini, e, nello stesso tempo, di solcare la scia del messaggio rivoluzionario di Cristo, portatore della spada e del comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”. fonte: il cinemaritrovato – giornata.org
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